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Dietro non c'è alcun concreto piano industriale ecco perché non ho voluto sottoscrivere l'accordo

Notizia del 18/03/2008

[Il Gazzettino]

È sempre stato in prima fila. Per lo stabilimento ex Heineken si è fatto in quattro e ieri Davide De Martini Bonan non se l'è sentita di sottoscrivere l'accordo che prevede il licenziamento di una parte dei dipendenti.

Innanzitutto vorrei chiarire che il mio non è un giudizio sull'operato del Sindacato, poiché sinceramente è il massimo che potevamo ottenere in queste condizioni e sicuramente il fatto di aver ridotto di qualche unità i licenziamenti è già stato importante. Nonostante questo, il giudizio su questo accordo non può essere positivo, per questi motivi:

Non ci è stato presentato nessun concreto piano industriale con una prospettiva di rilancio a medio termine che possa garantire continuità produttiva e occupazionale; nell'accordo sono citati solamente dei generici intenti. Non sappiamo nemmeno quale sarà la produzione di quest'anno e tantomeno gli obbiettivi produttivi nei prossimi, e come si intenda incrementarla per portare lo Stabilimento in equilibrio. Quello che preoccupa è che nonostante l'acquisizione del marchio Pedavena, la produzione del gruppo Castello nel suo complesso negli ultimi tre anni non è cresciuta.

Non ci è stato presentato nessun concreto piano di investimenti sugli impianti produttivi, sebbene siano indispensabili ammodernamenti e non siano nemmeno ancora stati realizzati quelli previsti nel programma dei due anni di CIGS. Non c'è stata la concreta volontà di Castello di attuare le possibili collaborazioni con altre aziende birraie (es. Imbev) che potessero garantire una maggiore produzione e forse la piena occupazione.

Non ci sono stati dati chiarimenti in merito alle dichiarazione pubbliche dell' amministratore delegato dell'Azienda - scrive De Martini Bonan - al riguardo di volontà di realizzare attività alternative a quelle industriali all'interno dello stabilimento (alberghi, beauty farm, scuola birrai); non è chiaro ad esempio il motivo di voler liberare degli stabili attualmente utilizzati ad importanti attività di supporto alla produzione (officina centrale, magazzino ricambi).

Il numero degli esuberi, nonostante sia stato ridotto di qualche unità, è assolutamente spropositato anche in relazione alle necessità produttive: non si capisce come si possa garantire una produzione di qualità con una quarantina di dipendenti (poiché 3 sono destinati al commerciale), coprendo ferie, malattie, permessi, e soprattutto l'alta stagione che l'anno scorso necessitava di oltre 50 dipendenti.

L'azienda ha troppa discrezionalità nella scelta dei dipendenti da licenziare: non si sono create le condizioni per permettere che chi è vicino alla pensione potesse volontariamente uscire; tanto è vero che anche sulla parte riguardante i volontari hanno inserito che possono uscire solo a patto che siano compatibili con le esigenze tecnico produttive ed organizzative. Il rischio è che escano i più giovani (comunque tutti vicino ai 50 anni, con tutte le problematiche di rioccupazione connesse) e tra qualche anno il numero dei dipendenti occupati si possa ulteriormente ridurre quando molti di quelli che rimarranno raggiungeranno i requisiti pensionistici.

Ho l'impressione che quindi ci sia il rischio concreto di scelte discriminatorie da parte dell'azienda, come del resto di fatto già accaduto, per alcuni colleghi, nell'utilizzo dello strumento della rotazione in questi due anni di CIGS. Pertanto personalmente (è una posizione assolutamente personale) non me la sento di dare il mio assenso a questa operazione, e quindi non sarò presente giovedì in Provincia a sottoscrivere definitivamente l'accordo.

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